lunedì 29 luglio 2013

Naturalmente olio di palma / Naturally palm oil

Al giorno d'oggi fare una scelta alimentare significa anche fare una scelta ambientale. Ormai tutto quello che mangiamo comporta un impatto, piccolo o grande che sia, sull'ambiente.
Oggi voglio parlare della materia prima grassa maggiormente prodotta nel mondo: l'olio di palma, questo sconosciuto. Conosciamolo.

L'olio di palma viene estratto dalla polpa dei frutti della palma da olio, Elaeis guineensis,
originaria dell'Africa, viene ampiamente coltivata anche in America e nel Sud-Est Asiatico. Questa palma produce frutti riuniti in grappoli, ognuno dei quali può arrivare a portare 2000 frutti e pesare 20 kg; il frutto ha una polpa morbida e rossastra e un nocciolo duro.
L'olio viene estratto dalla polpa (olio di palma - palm oil), ma può essere estratto anche dai semi (olio di palmisto - palm kernel oil).



Per descrivere la particolarità dell'olio che si ottiene è necessaria una premessa per chi non è molto ferrato in chimica organica.
In generale sappiamo che gli oli di origine vegetale contengono molti grassi insaturi e pochi grassi saturi, il contrario avviene per i grassi di origine animale con più grassi saturi.
Un acido grasso saturo è una molecola in cui non ci sono doppi legami tra gli atomi di carbonio, ma solo legami singoli. Invece un acido grasso insaturo contiene uno o più doppi legami tra i carboni (vedi figure).















Vediamo quindi i due principali motivi per cui quest’olio viene così tanto utilizzato, ma allo stesso tempo danneggia noi e l’ambiente.

L'olio di palma contiene circa il 50% di grassi saturi.
Vediamo le percentuali di grassi saturi di altri oli vegetali:
olio d'oliva: 16%
olio di girasole: 13%
olio di arachide: 19%
olio di cocco: 90%

Per la grande quantità di grassi saturi, in percentuale simile al burro, l'olio di palma si presenta solido a temperatura ambiente e questo lo rende ideale per essere utilizzato in svariati prodotti dell'industria alimentare (soprattutto nei prodotti da forno e nei biscotti dove conferisce una particolare fragranza), dell’industria cosmetica, per produrre saponi e biodiesel.

Il contro di questa faccenda alimentare è che l’olio di palma, pur avendo circa la stessa percentuale di grassi saturi del burro, è peggiore a causa del processo di raffinazione a cui viene sottoposto; infatti decolorazione, deodorazione e quant’altro distruggono ciò che di buono c’è nell’olio di palma, cioè vitamine e anti-ossidanti (che invece si trovano nel normale burro).
Inoltre quel 50% di grassi saturi presenti sono tutti acidi grassi a catena lunga, con una lunga catena di atomi di carbonio, i quali sono la causa dell’innalzamento del nostro colesterolo “cattivo” LDL (low density lipoprotein). L’unico vantaggio riscontrabile sta nel fatto che usando olio di palma non si è costretti a utilizzare grassi vegetali idrogenati, come la margarina, ottenuta da oli vegetali normalmente liquidi, resi solidi col processo di idrogenazione, il cui risultato non è per niente sano.

La sua solidità a temperatura ambiente è solo uno dei motivi per cui l'olio di palma è sempre più utilizzato, a tal punto che nel 2012 è stato l'olio più prodotto al mondo con 48 milioni di tonnellate.

L'altro motivo per cui è così utilizzato è il suo basso costo di produzione.
Infatti la coltivazione delle palme da olio avviene per lo più nei paesi sottosviluppati e in particolare in Indonesia dove, per fare posto alle monocolture di palma gestite da multinazionali, vengono brutalmente rasi al suolo ettari di foresta pluviale vergine, spesso illegalmente.
Questi ambienti sono uno scrigno per la biodiversità, habitat di oranghi e tigri ora in via di estinzione, patria di popolazioni indigene costrette a spostarsi in altre zone segregate, ma sono anche terreni dove da generazioni i contadini locali coltivano utilizzando la rotazione per conservare la fertilità dei suoli che dopo la coltivazione tornano ad ospitare la foresta.
Ora questi terreni vergini che ospitano le piantagioni sono sfruttati al 100% delle loro potenzialità e una volta esaurita la fertilità naturale bisogna subentrare con i fertilizzanti chimici.
Qui alcune foto delle deforestazioni.

Ma questa è solo una faccia della medaglia, sull’altra faccia c’è il grave problema dell’emissione di gas serra e dell’inquinamento dell’aria. Infatti nei terreni da destinare alle piantagioni viene appiccato il fuoco per liberarli completamente dalla vegetazione rimasta dopo il taglio degli alberi più grandi e per bruciare la torba presente in eccesso nei terreni vergini; questo causa la produzione di dense nuvole di fumo che rendono l’aria irrespirabile, non solo nelle vicinanze, ma anche a centinaia di chilometri. Il fenomeno si ripresenta ogni anno tra i mesi di giugno e settembre.
L’ultimo esempio è sotto gli occhi di tutti: incendi sull’isola di Sumatra in Indonesia hanno prodotto una quantità di fumo giunta fino in Malesia a Singapore; il fumo ha costretto a dichiarare lo stato di allarme e la popolazione è stata invitata a non uscire di casa.
Qui alcune foto di Greenpeace degli incendi, del fumo e delle persone costrette a portare la mascherina.

La questione olio di palma resta fin troppo sconosciuta e le grandi industrie che lo utilizzano in quantità massiccia pensano bene di non sollevare il problema.

Nell’Unione Europea l’olio di palma non viene riportato nelle etichette dei prodotti alimentari, ma viene messa semplicemente la dicitura “grasso vegetale” o “oli vegetali” senza specificare di che grasso o olio si tratti, ma nella quasi totalità dei casi si tratta proprio del palma.


Solamente poche aziende in Italia riportano nell’etichetta dei loro prodotti la dicitura “olio di palma”. L’unica che ho sotto gli occhi quotidianamente è Coop. In tutti i prodotti Coop viene citato in etichetta l’olio di palma (nei biscotti ad esempio), ma non è presente negli alimenti per bambini.


Probabilmente altre aziende lo riportano in etichetta, ma io personalmente non l’ho mai letto in altri prodotti.
Parlando sempre di Coop bisogna ricordare la linea di prodotti Vivi Verde dove non viene utilizzato olio di palma, ma altri oli vegetali (mais, girasole).

Restando in tema di etichette, finalmente il 13 dicembre 2014 entrerà in vigore il nuovo Regolamento dell’Unione Europea riguardante l’informazione dei consumatori, il quale obbligherà tutte le aziende a specificare il tipo di olio o grasso vegetale utilizzato. Infatti da quel momento in poi gli oli o grassi raffinati di origine vegetale possono essere raggruppati nell’elenco degli ingredienti sotto la designazione “oli vegetali” o “grassi vegetali”, immediatamente seguita da un elenco di indicazione dell’origine  vegetale specifica e, eventualmente, anche della dicitura “in proporzione variabile”. In questo modo il consumatore potrà fare una scelta consapevole dei prodotti ed essere al corrente dei grassi o oli presenti.

Un’ultima informazione positiva è l’istituzione, avvenuta nel 2004, di una Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile (RSPO) che certifica la produzione sostenibile di olio di palma, cioè assicura che tutto il processo produttivo sia a basso impatto ambientale e sociale. Ormai più del 14% dell’olio di palma globale è certificato RSPO e alcune multinazionali e grosse aziende si stanno impegnando nell’incentivare e utilizzare l’olio di palma sostenibile, come ad esempio Unilever, P&G, Nestlè, Carrefour, Ferrero, Coop.


Sono due i loghi presenti tuttora per l’olio di palma sostenibile.

Il primo è il logo dell’RSPO per l’olio di palma sostenibile che certifica la provenienza dell’olio da piantagioni ove sono state seguite le buone pratiche per ridurre l’impatto della produzione.

Il secondo è il logo Green Palm che assicura un sostegno economico garantito ai produttori certificati.




Insomma tanto si sta facendo per ottenere una produzione più sostenibile, ma la strada è ancora lunga per arrivare a dei risultati concreti e globali. Comunque non si può essere certi che il consumo di olio di palma non sia nocivo per la salute, anche se molti dicono che non lo sia. Ma quando c’è di mezzo un ritorno economico la verità non viene mai a galla.


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domenica 30 giugno 2013

Il coperchio del water

Torno a scrivere dopo un anno e 5 giorni. Record!
Scrivo perché oggi sono a casa e non ho un piffero da fare.
In realtà è qualche giorno che penso a questo argomento e oggi ho trovato l'energia necessaria per metterlo per iscritto.
L'argomento di oggi è: il coperchio del water.

Il coperchio del water è un oggetto presente in tutte le case e troppe volte viene dimenticato. Il suo ruolo e la sua importanza devono tornare agli antichi albori perché Lui non è lì per caso. No signore!
Infatti ogni volta che andiamo alla toilette succede questo: ci caliamo i pantaloni, ci sediamo comodamente, facciamo i nostri bisogni piccoli e grandi, ci puliamo per bene, ci alziamo, ci rivestiamo e.. tiriamo lo sciacquone, magari guardando compiaciuti il nostro operato. Ed è qui che casca l'asino!
..il coperchio cazzo! Chiudi il coperchio! Chiudi quel dannato coperchio! Non è mica lì per caso! Lo sapevi?

Se non lo sapevi te lo spiego io.
Il coperchio del water se chiuso correttamente esegue il compito per cui è stato lì posizionato, cioè proteggere te e il tuo bagno da batteri e particelle di feci e urine che con la forza dell'acqua dello sciacquone vengono sparati in tutte le direzioni e si depositano su tutte le superfici limitrofe e su di te che stai lì a guardare.
E' stato fatto anche uno studio per dimostrare quanto la chiusura del coperchio possa essere essenziale per evitare la diffusione di virus e batteri; lo studio è stato condotto dal Professor Mark Wilcox del Leeds Teaching Hospitals NHS Trust del Regno Unito.
Riporto il link all'articolo per chi interessato con la descrizione dei due esperimenti: http://www.naturalmentemeglio.it/per-non-diffondere-i-batteri-prima-dello-scarico-chiudere-bene-il-coperchio-del-wc

Insomma il coperchio del water deve diventare un nostro fidato compagno di vita quotidiana e non bisogna mai dimenticarlo.
E poi per favore.. lavatevi le mani prima di uscire dal bagno, dai!